Dal ciclo di dibattiti all'ex Macello di Milano emerge la richiesta di costruire comunità
Tante realtà, un unico filo conduttore: c’è voglia di appartenenza. È quanto emerso dal ciclo di quattro incontri che abbiamo organizzato tra settembre e ottobre all’ex Macello di Milano, in viale Molise 62, eletto Casa dei quartieri. Un terreno neutro – il Macello ha garantito approvvigionamenti a tutta la città per decenni – dove confrontarsi su cosa vuol dire oggi periferia.
Dai borghi del sud e dell’ovest Milano (“Riscoprirli è un modo per cambiare la percezione di questi territori”, Riccardo Tammaro di Milano Policroma) all’Ecomuseo Urbano Metropolitano Milano Nord a Niguarda (“Lavoriamo sul campo dialogando con le persone per far emergere storie materiali e immateriali”, Alessandra Micoli dell’EUMM) da via Padova (“Quartiere con un’identità cangiante, legata alla continua mutazione della popolazione”, Dino Barra della Casa del Sole) fino alla storia intrecciata tra i Navigli e la periferia della città che si allarga (“La riattivazione dei canali riavvicinerebbe il centro al resto della città e viceversa”, Antonello Boatti, uno degli autori del progetto), un punto fermo esiste: la storia.
Alla quale guardare per comprendere che la periferia non è un territorio uniforme e senza identità, che “non esiste un unico passato, ma il passato è una fotografia in divenire”, come ha sottolineato il public historian Giorgio Uberti. Dalle mappe come strumento di apprendimento e restituzione all’appello per celebrare l’anno venturo il centenario dall’aggregazione dei dodici comuni che oggi riempiono i confini di Milano, si registra una spinta dal basso alla costruzione delle basi condivise di una nuova comunità.